correndo la polvere scivola via, la mente si libera ed è un continuo scoprire ricordi, pensieri, emozioni... (aa)
domenica 25 aprile 2010
momenti di corsa
...bolle d'aria in una vita in apnea.
martedì 20 aprile 2010
bolle
...sott'acqua e vedere il mondo capovolto, non averne paura e risalire.
lunedì 15 marzo 2010
Marathon finisher: la seconda volta.
“Grande l'emozione all'arrivo. Un'altra esperienza di vita.”
Basterebbero queste poche parole per sintetizzare cosa significa per me aver corso un'altra maratona. L'esperienza vissuta oggi, alla 7^ Treviso Marathon, merita comunque di essere narrata attraverso alcuni flash, fermando il “film della maratona” ...
La partenza.
Sveglia antelucana, presto, tanto presto. Si parte, assonnati, ma non mi pesa. Non sono particolarmente tesa, ansiosa, ho dormito bene, come non mi capita spesso. Ascolto i discorsi e le chiacchiere dei compagni di corsa, mi tengono compagnia. Anche gli altri sono sereni, e il preannunciarsi di una giornata serena piena di sole è catalizzatore di pensieri positivi e buoni propositi.
Prima della gara. L'attesa.
Un perfetto servizio di bus navetta ci porta a Vittorio Veneto, dove prendiamo un caffè e ci prepariamo per la partenza. I dubbi sull'abbigliamento, le foto di rito, la corsa contro il tempo per consegnare le sacche. Il sole ci guarda, guardiamo il sole: ci accompagnerà senza tradirci. Ci dividiamo, io entro nelle gabbie retrovie, e attendo il fatidico sparo. Si parte.
Fino al 28° circa
Raggiungo i pacer delle 4.15, e trascorro parecchi chilometri con loro. Uno di loro correva con la scritta “4,15 lento per scelta”. A me, però, non sembra di essere lenta. Corro al loro ritmo, e riuscire a farlo per tanti chilometri mi galvanizza. Corro e sono consapevole che il mio corpo risponde bene. Mi dico che l'allenamento sta dando i suoi frutti. E continuo a correre, senza pensare troppo al tempo, alla media perchè c'è chi lo fa per me.
Ma che succede?
Inizio a rallentare. Anzi è già un po' che vado meno forte, i palloncini sono molto più avanti. Mi faccio la “radiografia”: un fastidio che non voglio ascoltare. Un fastidio che diventa insopportabile. Che diventa dolore. Avrei pensato che mi poteva succedere tutto in maratona, tranne l'emergenza toilet. Finalmente al 35° la vedo, mi ci dirigo... E' vicino al bus scopa, qualcuno mi urla di non prenderlo, ma no, non l'avrei preso! Trascorro 4 o 5 minuti di panico, riflettendo sul da farsi. No, non mi arrendo. Esco e riparto, ma ormai ho perso il ritmo e i compagni di viaggio. Non importa. Percorro il 35° km in 10 minuti, causa pit-stop.
La maratona
A questo punto inizia la mia maratona. Quella vera. Quella che mi chiede di usare la testa, di trovare in me la forza e le strategie per andare avanti. Gambe stanche: si, appena arrivo c'è tutto il tempo per riposare; mal di pancia: non è niente, ormai il peggio è passato, e sei a buon punto. Mi vengono in mente le parole del pacer: quando siete stanchi distraetevi dalla maratona. Usate la creatività, non date troppo spazio alla razionalità. E' la testa che comanda. La mia creatività … per una persona analitica come me è difficile “pensare creativo”! La mia mente si rifiuta, passo gli ultimi km a pensare a cosa pensare... e il fatidico cartello dei 42 arriva. Il pensiero che ricordo, uno dei pochi, è che la maratona è un'esperienza affascinante, ammaliante. La sogni, ti alleni, la corri, soffri, stringi i denti. Quando hai la medaglia al collo dimentichi tutto. Hai solo un pensiero: ce l'ho fatta. E pensi alla prossima. Dimentichi i dolori e le sofferenze. E ti metti di nuovo alla prova. Nonostante tutto.
L'arrivo
Arrivo. Mi rendo conto di aver corso l'ultima parte della maratona molto lenta, ma non importa: il miglioramento rispetto alla precedente viene sancito da un real time di 4.26, Personal Best per me. Emozione grande. Intensa. Dolorosa. Mi fermo e sento il corpo che urla, richiede attenzione ma non lo ascolto. Voglio il simbolo della maratona, quella medaglia per la quale ho fatto tanta strada. E con quella al collo cerco le amiche e gli amici di corsa per condividere. Con un grande sorriso.
Che dire di più... una giornata intensa e piena di emozioni. Aver portato a termine un'altra maratona mi fa sentire più forte e più ricca di esperienze da condividere, il tempo che ci ho impiegato è relativo, e sempre lo sarà di fronte alla possibilità di portare a termine comunque questa gara difficile ma piena di fascino e di fatica allo stesso tempo.
Il percorso, il tempo atmosferico, l'organizzazione, tutto è stato perfetto.
Concludo con una riflessione sul grande cuore e generosità di quegli atleti che hanno rinunciato a correre la loro maratona privata per aiutare compagni in difficoltà, per traghettare gruppi di persone al traguardo garantendo un tempo, oppure per portarli a raggiungere uno straordinario PB, ma soprattutto per spingere le carrozzine di coloro a cui la vita ha impedito di correre. La corsa è anche questo, spesso: saper dare e condividere la propria esperienza e la propria capacità.
lunedì 8 marzo 2010
una vittoria. grazie Jeff
UNA VITTORIA, GRAZIE JEFF.
In vista della Maratona di Treviso decido, qualche tempo fa, di iscrivermi alla maratonina di Gorizia, un ultimo allenamento di un certo spessore. Decido di correrla senza alcuna aspettativa: ancora vivo il ricordo della fatica di Verona, non voglio ripetere gli errori fatti. La settimana precedente corro solo due delle tre sedute previste, gli altri giorni “cross-training” con il nuoto e la bici. I chilometri percorsi dall'inizio dell'anno sono tanti, tantissimi e si stanno facendo sentire soprattutto psicologicamente; l'attesa della maratona provoca ansia e apprensione. Inutile, faticoso e soprattutto controproducente cercare di correre tanto oggi, cercare un risultato: non ne vale la pena. Inoltre so che correrò da sola, l'amica con cui ho appuntamento ha avuto un piccolo incidente e mi dice, la sera prima, che non sarà con me. Ma non voglio stancarmi troppo, non voglio forzare, non voglio soffrire. Decido allora di impostare il garmin come allenamento, programmandolo con il metodo run/walk proposto da Galloway. Forse tanti sanno chi è Galloway, ma forse tanti si chiederanno “chi è costui?”. Basta fare una veloce ricerca nel web, ma per chi non ne ha voglia basta sapere che questo maratoneta ha perfezionato un metodo per correre le lunghe distanze senza farsi male e senza soffrire. La sua filosofia è “injury-free running”. Correre senza farsi male, in tutti i sensi. L'estate scorsa mi sono procurata due delle sue pubblicazioni, rigorosamente in lingua originale, le ho lette e ho apprezzato molte delle sue considerazioni, e soprattutto ho provato a mettere in pratica il suo metodo. In poche parole, corri per qualche minuto, e poi recuperi, e così via. Ma quanti minuti corro? A che velocità? Quanto tempo recupero? Ma se cammino poi non arrivo più... a tutte queste domande ho trovato risposta, e la risposta più importante, dopo la mezza di Buttrio, è arrivata oggi. Ho corso con una media che mi ha permesso di arrivare sotto le 2 ore, pur rallentando spesso. Non è stato facile dare fiducia a questo metodo, quando rallenti e gli altri ti superano ti senti quasi impotente, ma poi riparti e li superi, rallenti e riparti, e vai avanti ancora e così via... Arrivo con un real time di 1:57:59, PB; non sono stanca, ho la forza di scherzare e di sorridere. Anche gli altri hanno corso bene, chi ha migliorato il PB, chi ha fatto meglio di quanto previsto. E' stata una mattinata trascorsa serenamente, la magia della corsa si è ripetuta e ci ha regalato una splendida giornata di sole.
Ho corso bene, sono felice; nonostante la partenza un po' incerta, è una vittoria, riesco a raccogliere un risultato costruito con tanta pazienza, tempo, passione e fatica, ma che mi gratifica e che mi conferma che correre è la mia forza. Me ne rendo conto e sorrido di nuovo.
La prossima prova è la mia seconda maratona, domenica 14 a Treviso. Spero di arrivare al traguardo con il sorriso.
martedì 23 febbraio 2010
La mia Giulietta&Romeo Halfmarathon. Storia di un PB senza sorriso.
“Ogni arrivo nella corsa di lunga distanza è un successo”.
“La fatica merita rispetto e un PB merita di essere accolto con un sorriso”.
Non avevo intenzione di scriverne, ma queste parole mi hanno stimolata a riflettere sul motivo del mio “sofferto sorriso” dopo una mezza maratona portata a termine con un Personal Best.
L'arrivo
10 mezze maratone, per 10 volte concluse più o meno faticosamente, ma sempre con un grande sorriso; anche alla Stramilano, dove ho corso davvero da “incosciente” senza allenamenti specifici, e facendo un tempo “da tapascione” sono arrivata felice. La decima è stata quella di domenica scorsa. Al traguardo ci sono arrivata, ma non molto sorridente.
La fatica
Una tenace come me non molla, e fino al 19° ho tenuto il ritmo. Rispetto la Fatica. L'ho sperimentata più volte e so che senza il dovuto riguardo ti può ostacolare, bloccare, fermare... La Fatica a Verona era con me, la governavo, la controllavo, e sono riuscita a non cederle fino all'arrivo. Senza mai fermarmi anche durante quel lunghissimo ultimo km che mi separava dal traguardo.
Il Persona Best
10 mezze maratone, e solo in questa riesco a leggere sul mio Garmin alla fine un 1:59:32 (precedente: 2:00:25). Una parte di me esultava, quella che si era resa conto del risultato, finalmente sotto le 2 ore, dopo tanti tentativi.
Il sorriso sofferto
Ma subito, all'istante, il sorriso viene offuscato da un altro pensiero: ma vale la pena una tale fatica per rosicchiare solo una manciata di secondi? Ma sarà mai possibile che con tutti gli allenamenti, tutti i kilometri, il tempo dedicato, le rinunce, le avversità atmosferiche affrontate, le difficoltà quotidiane, gli imprevisti, gli infortuni... sarà mai possibile che tutto questo mi porti a migliorare così poco? Ma davvero ne vale la pena? Ma sarà meglio un altro sport? Il golf, il tiro con l'arco...
Gli amici
Ho corso per parecchi kilometri con Gian Piero, che, bravissimo, ha fatto il proprio PB. All'arrivo abbiamo aspettato assieme i vincitori della Maratona, e intanto guardavo le frotte che continuavano ad arrivare al finish della Mezza. Poi l'attesa degli amici che correvano la maratona, stanchi, felici, sorridenti e soddisfatti per essere arrivati ed aver fatto quello che si erano prefissi.
Mi ci è voluto del tempo, ma ripercorrere la gara, riflettere, relativizzare, e infine scriverne ora mi ha reso consapevole di ben altre cose, che vanno al di là del Personal Best. Di cui vado ORGOGLIOSA.
Correre è importante nella mia vita, è diventata passione che condivido con tantissime altre persone.
Correre mi fa stare bene, mi aiuta nei momenti difficili, mi dà la carica, mi aiuta a migliorare il rapporto con me stessa, mi obbliga a rispettare il mio corpo. Quando corro soprattutto le lunghe distanze riesco a far tacere la parte analitica e schematica della mia mente per lasciare spazio a quella creativa, libera... Correre è per me sentirsi e pensare in libertà, senza schemi, senza tempi, correre è ricercare la magia di una solitudine positiva da condividere poi all'arrivo, a prescindere dal risultato...
A Verona ho sacrificato la magia per concentrarmi sul PB, un errore che vorrei non commettere di nuovo. Infatti ho pochi ricordi della gara, sicuramente un percorso faticoso, gli ultimi kilometri molto difficili... quasi non mi sono accorta di essere entrata in Arena...
Cosa mi rimane di questa esperienza? Ho capito che ognuno ha un proprio limite da rispettare, altrimenti la magia e la bellezza appena descritte scompaiono per lasciare il posto all'aridità delle tabelle, ai tempi, ai risultati, o peggio ancora si rischia di non correre più. Finalmente ho capito che nessuno giudica la tua corsa, il tuo tempo. La fatica viene sempre premiata, se non dal PB, dalla soddisfazione di aver portato a termine qualcosa di impegnativo e dalla voglia di condividere questa fatica con gli altri, subito dopo la gara, e scrivendone come in questo momento.
Ho imparato che bisogna concentrarsi sul PB, e non sulla quantità di secondi o muniti fatti in meno.
Certo le tabelle sono importanti, i tempi anche e la mia parte analitica mi dice che se voglio correre più veloce... devo seguire i consigli di chi mi sprona a seguire anche allenamenti veloci, non solo lunghi. Sono un'insegnante, ma nella corsa e nella vita ho ancora molto, molto da imparare! Quindi, come dico ai miei alunni, brava, ma potresti fare di più!
Un grazie e un abbraccio agli amici con cui ho condiviso questa giornata, con loro sono riuscita a trascorrere un sereno post gara senza pensare troppo ai miei (falsi) problemi, e a godere di un insperato sole in Piazza Brà, mangiando tortellini al burro, banane e bevendo coca cola. Grazie anche a tutte le persone che mi hanno sopportata e ascoltata, pazientemente, tra domenica e lunedi... Monica, Antonio M., Antonio S., Milva, Marinella, Filippo...
Verona è archiviata, mi aspettano a breve la mezza di Gorizia e poi la mia seconda Maratona a Treviso. E stavolta PB o meno... lascio il posto alla magia e al sorriso.
domenica 6 dicembre 2009
scivere di corsa. perché?
Mi piace condividere quanto la corsa mi dà, e sento la "necessità" di comunicarlo, pertanto affido alle parole il compito - non facile - di dare un senso compiuto alle mie esperienze podistiche, parole che possono arrivare a chi le sa ascoltare, a chi condivide con me questa passione, che non è la corsa al risultato, ma la corsa per una vita resa più piena dalle tante emozioni, sensazioni, vittorie personali, conquiste, benessere... che questo sport regala.
lunedì 30 novembre 2009
La Maratona, una lunga linea verde
“Corri, corri, vedrai che ti porto di sicuro alla meta”, mi sussurra una lunga linea verde. Mi fido, la seguo per 42,195 km, e mi porta da piazzale Michelangelo a Piazza Santa Croce a Firenze: è la linea della mia prima Maratona. Una linea da seguire, che stavo inseguendo da mesi, forse, senza saperlo, da anni. Una linea affascinate, che mi porta alla scoperta di me stessa, delle mie capacità, possibilità, limiti.
Ogni tanto la perdo di vista, poi riappare e mi richiamava all'ordine: “Corri!” E io ho corso, sono arrivata alla meta, non fermandomi mai. All'arrivo, nella stanchezza più totale, mentale e fisica, chiedo di farmi mettere la medaglia al collo perché sento di meritarmela, ce l'ho fatta. Mi dico, “Ce l'ho fatta... Ho vinto”. Ora sono più ricca, e questa ricchezza me la sono guadagnata correndo da sola, correndo senza chiedere sconti, correndo senza cercare scorciatoie.
Le settimane e i giorni prima della gara sono stati un altalenarsi di pensieri positivi e negativi, dal “chi me lo fa fare” al “se tutto va bene sarò maratoneta”. L'infortunio al ginocchio avrebbe potuto essere un'ottima motivazione per rimandare tutto, ma la mia determinazione me l'ha impedito. E alla fine ne sono uscita vittoriosa.
La gara, incorniciata da una splendida Firenze miracolosamente allietata dal sole, è stata una bellissima avventura. Avrei dovuto correre assieme a Carlo, avevamo preso accordi per vederci alla partenza, ma... non ci siamo proprio visti, quindi mi metto l'animo in pace e aspetto. La vista dal piazzale Michelangelo è stupenda, ma la gelida brezza mattutina che soffia sul collo un po' meno romantica... La sensazione di essere In mezzo a 10 mila persone è strana: mi sento davvero una formichina insignificante, ma mi rendo conto che le diecimila persone sono tutte determinate come me, tutti podisti approdati lì per correre, come me, tutti alla ricerca di qualcosa, come me. Talmente concentrata in questi pensieri, che non ho sentito lo sparo e ho cominciato a camminare perhè gli altri lo facevano, poi piano piano a correre. Il primo tratto è in discesa per circa 2 km, poi tutto pianeggiante, a parte qualche salitella insidiosa che mi fa perdere il ritmo. Non sono molto “tecnica”, non oso dire che ho impostato la gara in maniera regolare, anzi, credo di non essere neppure all'altezza di “impostare” una gara, ma ho cercato di correre con un ritmo regolare, non fermandomi mai, e ai ristori camminando velocemente, prendendo i bicchieri e le bottigliette d'acqua al volo. Sono passata alla mezza con il mio solito tempo, quindi avrei dovuto darmi da fare per il resto della gara. Altrettanti km da percorrere!
Da molte parti ho letto della possibilità che i maratoneti ad un certo punto incontrino “il muro”, dopo il 30° km, e anche dopo. Al 28° ho avuto una piccola crisi: forse il muro, ho pensato, chissà. Ma l'ho superata e sono ripartita con maggiore determinazione, ma sempre aspettando il crollo. Passo al 30°, nulla. Al 35°, ristoro: “E il muro? Forse più avanti”, penso, e proseguo nell'attesa del crollo. Al 38° vedo tantissimi atleti che camminano, prima o poi sarebbe toccato anche a me. 39°, 40°... A questo punto inizio a muovere un po' più velocemente le gambe, inizio a superare, punto due o tre atleti e li passo, il Lungarno, il rettilineo prima della partenza è gremito di atleti, sento una voce che mi incita, guardo il Garmin... penso che potrei farcela e impegno tutte, ma proprio tutte le risorse che mi sono rimaste, mentali e fisiche per riuscire a raggiungere il finish. Arrivo. Il Garmin segna 4.29.29. Ho centrato l'obiettivo che mi ero prefissa prima della partenza. Ne sono felice. Gioisco di questo momento. Poi un nodo alla gola, voglia di piangere, nessun volto noto all'arrivo... non voglio piangere. Ma la felicità spesso è fatta anche di lacrime, lacrime di gioia che sono sgorgate copiose quando le ho lasciate andare. Mi sono sentita meglio, ho osservato la medaglia. La mia prima medaglia da maratoneta. Ho vinto, ho vinto... Non ho deluso me stessa... Questi gli ultimi pensieri.
Le amiche e gli amici con cui ho condiviso questa esperienza mi aspettano, non sono sola. E sorridendo mi avvio verso gli altri, sorridendo e sorridendo e sorridendo... Arrivo e mostro una medaglia, quella della podista poco efficiente che ha corso la sua prima maratona. E l'ha finita, nonostante tutto.
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