lunedì 15 marzo 2010

Marathon finisher: la seconda volta.



Grande l'emozione all'arrivo. Un'altra esperienza di vita.”
Basterebbero queste poche parole per sintetizzare cosa significa per me aver corso un'altra maratona. L'esperienza vissuta oggi, alla 7^ Treviso Marathon, merita comunque di essere narrata attraverso alcuni flash, fermando il “film della maratona” ...

La partenza.
Sveglia antelucana, presto, tanto presto. Si parte, assonnati, ma non mi pesa. Non sono particolarmente tesa, ansiosa, ho dormito bene, come non mi capita spesso. Ascolto i discorsi e le chiacchiere dei compagni di corsa, mi tengono compagnia. Anche gli altri sono sereni, e il preannunciarsi di una giornata serena piena di sole è catalizzatore di pensieri positivi e buoni propositi.

Prima della gara. L'attesa.
Un perfetto servizio di bus navetta ci porta a Vittorio Veneto, dove prendiamo un caffè e ci prepariamo per la partenza. I dubbi sull'abbigliamento, le foto di rito, la corsa contro il tempo per consegnare le sacche. Il sole ci guarda, guardiamo il sole: ci accompagnerà senza tradirci. Ci dividiamo, io entro nelle gabbie retrovie, e attendo il fatidico sparo. Si parte.

Fino al 28° circa
Raggiungo i pacer delle 4.15, e trascorro parecchi chilometri con loro. Uno di loro correva con la scritta “4,15 lento per scelta”. A me, però, non sembra di essere lenta. Corro al loro ritmo, e riuscire a farlo per tanti chilometri mi galvanizza. Corro e sono consapevole che il mio corpo risponde bene. Mi dico che l'allenamento sta dando i suoi frutti. E continuo a correre, senza pensare troppo al tempo, alla media perchè c'è chi lo fa per me.

Ma che succede?
Inizio a rallentare. Anzi è già un po' che vado meno forte, i palloncini sono molto più avanti. Mi faccio la “radiografia”: un fastidio che non voglio ascoltare. Un fastidio che diventa insopportabile. Che diventa dolore. Avrei pensato che mi poteva succedere tutto in maratona, tranne l'emergenza toilet. Finalmente al 35° la vedo, mi ci dirigo... E' vicino al bus scopa, qualcuno mi urla di non prenderlo, ma no, non l'avrei preso! Trascorro 4 o 5 minuti di panico, riflettendo sul da farsi. No, non mi arrendo. Esco e riparto, ma ormai ho perso il ritmo e i compagni di viaggio. Non importa. Percorro il 35° km in 10 minuti, causa pit-stop.

La maratona
A questo punto inizia la mia maratona. Quella vera. Quella che mi chiede di usare la testa, di trovare in me la forza e le strategie per andare avanti. Gambe stanche: si, appena arrivo c'è tutto il tempo per riposare; mal di pancia: non è niente, ormai il peggio è passato, e sei a buon punto. Mi vengono in mente le parole del pacer: quando siete stanchi distraetevi dalla maratona. Usate la creatività, non date troppo spazio alla razionalità. E' la testa che comanda. La mia creatività … per una persona analitica come me è difficile “pensare creativo”! La mia mente si rifiuta, passo gli ultimi km a pensare a cosa pensare... e il fatidico cartello dei 42 arriva. Il pensiero che ricordo, uno dei pochi, è che la maratona è un'esperienza affascinante, ammaliante. La sogni, ti alleni, la corri, soffri, stringi i denti. Quando hai la medaglia al collo dimentichi tutto. Hai solo un pensiero: ce l'ho fatta. E pensi alla prossima. Dimentichi i dolori e le sofferenze. E ti metti di nuovo alla prova. Nonostante tutto.

L'arrivo
Arrivo. Mi rendo conto di aver corso l'ultima parte della maratona molto lenta, ma non importa: il miglioramento rispetto alla precedente viene sancito da un real time di 4.26, Personal Best per me. Emozione grande. Intensa. Dolorosa. Mi fermo e sento il corpo che urla, richiede attenzione ma non lo ascolto. Voglio il simbolo della maratona, quella medaglia per la quale ho fatto tanta strada. E con quella al collo cerco le amiche e gli amici di corsa per condividere. Con un grande sorriso.

Che dire di più... una giornata intensa e piena di emozioni. Aver portato a termine un'altra maratona mi fa sentire più forte e più ricca di esperienze da condividere, il tempo che ci ho impiegato è relativo, e sempre lo sarà di fronte alla possibilità di portare a termine comunque questa gara difficile ma piena di fascino e di fatica allo stesso tempo.

Il percorso, il tempo atmosferico, l'organizzazione, tutto è stato perfetto.

Concludo con una riflessione sul grande cuore e generosità di quegli atleti che hanno rinunciato a correre la loro maratona privata per aiutare compagni in difficoltà, per traghettare gruppi di persone al traguardo garantendo un tempo, oppure per portarli a raggiungere uno straordinario PB, ma soprattutto per spingere le carrozzine di coloro a cui la vita ha impedito di correre. La corsa è anche questo, spesso: saper dare e condividere la propria esperienza e la propria capacità. 

lunedì 8 marzo 2010

una vittoria. grazie Jeff

UNA VITTORIA, GRAZIE JEFF.
In vista della Maratona di Treviso decido, qualche tempo fa, di iscrivermi alla maratonina di Gorizia, un ultimo allenamento di un certo spessore. Decido di correrla senza alcuna aspettativa: ancora vivo il ricordo della fatica di Verona, non voglio ripetere gli errori fatti. La settimana precedente corro solo due delle tre sedute previste, gli altri giorni “cross-training” con il nuoto e la bici. I chilometri percorsi dall'inizio dell'anno sono tanti, tantissimi e si stanno facendo sentire soprattutto psicologicamente; l'attesa della maratona provoca ansia e apprensione. Inutile, faticoso e soprattutto controproducente cercare di correre tanto oggi, cercare un risultato: non ne vale la pena. Inoltre so che correrò da sola, l'amica con cui ho appuntamento ha avuto un piccolo incidente e mi dice, la sera prima, che non sarà con me. Ma non voglio stancarmi troppo, non voglio forzare, non voglio soffrire. Decido allora di impostare il garmin come allenamento, programmandolo con il metodo run/walk proposto da Galloway. Forse tanti sanno chi è Galloway, ma forse tanti si chiederanno “chi è costui?”. Basta fare una veloce ricerca nel web, ma per chi non ne ha voglia basta sapere che questo maratoneta ha perfezionato un metodo per correre le lunghe distanze senza farsi male e senza soffrire. La sua filosofia è “injury-free running”. Correre senza farsi male, in tutti i sensi. L'estate scorsa mi sono procurata due delle sue pubblicazioni, rigorosamente in lingua originale, le ho lette e ho apprezzato molte delle sue considerazioni, e soprattutto ho provato a mettere in pratica il suo metodo. In poche parole, corri per qualche minuto, e poi recuperi, e così via. Ma quanti minuti corro? A che velocità? Quanto tempo recupero? Ma se cammino poi non arrivo più... a tutte queste domande ho trovato risposta, e la risposta più importante, dopo la mezza di Buttrio, è arrivata oggi. Ho corso con una media che mi ha permesso di arrivare sotto le 2 ore, pur rallentando spesso. Non è stato facile dare fiducia a questo metodo, quando rallenti e gli altri ti superano ti senti quasi impotente, ma poi riparti e li superi, rallenti e riparti, e vai avanti ancora e così via... Arrivo con un real time di 1:57:59, PB; non sono stanca, ho la forza di scherzare e di sorridere. Anche gli altri hanno corso bene, chi ha migliorato il PB, chi ha fatto meglio di quanto previsto. E' stata una mattinata trascorsa serenamente, la magia della corsa si è ripetuta e ci ha regalato una splendida giornata di sole.
Ho corso bene, sono felice; nonostante la partenza un po' incerta, è una vittoria, riesco a raccogliere un risultato costruito con tanta pazienza, tempo, passione e fatica, ma che mi gratifica e che mi conferma che correre è la mia forza. Me ne rendo conto e sorrido di nuovo.
La prossima prova è la mia seconda maratona, domenica 14 a Treviso. Spero di arrivare al traguardo con il sorriso. 

friends & co